Benvenute e benvenuti a un nuovo numero di Capibara, una newsletter che fa ridere ma anche pensare. All’alba dei tempi questo era il luogo per le notizie e i meme del momento, adesso che siamo al tramonto è diventato il luogo per ciò che mi va, senza dimenticare che col tramonto si limona più facilmente… almeno così ho sentito dire da mio cugino una volta.
E questa volta mi va di parlare d’amore. Anzi faccio parlare soprattutto voci più competenti di me in materia, ché io ho sempre visto l’amore come un sentimento sfuggente, un po’ come l’orso sugli Appennini: c’è perché ne trovi la cacca per terra, ma non lo vedi mai. Una nuvola che se la guardi da lontano ha dei tratti ben netti, mentre da vicino è un gran casino.
Mi conosco troppo a fondo, e l’abisso ha guardato in me fin troppe volte, per accettare una relazione che non mi faccia star bene, che non mi faccia sentire libero, che mi faccia bastare la soddisfazione di un bisogno rispetto a una più ampia e ardua valorizzazione reciproca.
Non è semplice, parto dai bordi e, arrivato al centro, manca sempre un pezzo. Mi capita d’aver paura di trovarlo, ma controllo comunque sotto ogni piega.
Per addormentarmi conto le possibilità.
Malgrado questa conoscenza, vera o presunta che sia, le domande che si pone il mio animo da sociologo sono molte:
l’amore atteso e cercato è amore o attaccamento?
viene mantenuto perché fa star bene, valorizza, o è solo dipendenza?
è davvero ciò che si vuole o lo si desidera per formazione, cultura, società?
l’anima gemella così intesa esiste? O si costruisce tramite un costante impegno?
quali elementi impediscono di mollare una relazione tossica o di riconoscerla?
Quindi, come diceva Carver, di cosa parliamo quando parliamo d'amore?
Un paio di mesi fa ho letto un numero de Il giro del cingolo, la newsletter della dott.ssa Arianna Capulli, che mi ha dato l’ispirazione e qualche risposta; in particolare, essendo un fan dei vissuti delle persone, mi ha colpito la prima parte. La riporto qui:
Avevo ventidue anni, ero stata già fidanzata sei anni e avevo un nuovo fidanzato.
Lui era svizzero, viveva in Svizzera.
Dopo poco, conobbi la sua famiglia e i suoi amici. Quella stessa sera lui avrebbe lavorato, io sarei rimasta a casa da sola e l’idea di aspettarlo davanti al camino mi piaceva. Suonò il citofono, andai a rispondere. Era il suo migliore amico, un bel ragazzo conosciuto poche ore prima, che mi invitava a cena fuori. Rifiutai l’invito e avvisai immediatamente il mio fidanzato. Lui mi rispose che erano d’accordo e che avevano pensato a un modo per non farmi sentire sola e coinvolgermi.
Siete pazzi, pensai. Non esiste, risposi. Non è geloso, mi lascerebbe uscire col suo amico, non mi ama abbastanza. Quando tornerà gli farò una scenata.
Quella storia finì due anni dopo e durante una discussione lui mi disse: io ci provo, ma tu non accetti che io non sono la persona con la quale sei stata sei anni, non sono tuo padre, che questa è un’altra relazione, un altro luogo, che tu sei diversa da due anni fa.
Dalla fine di quella storia, iniziò un grande lavoro di decostruzione di tutto quello che pensavo di dover fare e di dover essere, da sola e in coppia.L’amore che conoscevo era quello che avevo vissuto, in famiglia e durante quei sei anni e pensavo fosse l’unico modello di relazione possibile.
Come spesso accade, non mi sono accontentato. Così le ho scritto per chiedere un ulteriore contributo che affrontasse il tema provando a uscire dai modelli a cui siamo abituati e che, magari senza saperlo, cerchiamo.
Teoria, pratica e riflessioni sull’amore
D’amore s’è parlato e si parla tanto, ma nella gran parte dei casi se ne parla riferendosi all’innamoramento, che è solo una parte di quello che comunemente chiamiamo amore. Come l’amore nell’arte, l’innamoramento è un momento, ha un inizio e una fine come l’opera che lo racconta, sia essa un quadro, un libro o un film.
Non è compito dello psicoterapeuta dare al paziente né a chi legge una definizione universale di amore, ma è soprattutto attraverso la conoscenza di sé stessi che possiamo conoscere il significato che la parola amore assume per noi, nel contesto delle diverse relazioni che viviamo. L’integrazione tra le diverse teorie che approfondiscono il tema delle relazioni umane, ha condotto a isolare alcuni elementi che si concorda sul fatto debbano essere presenti perché si possa parlare di un amore che aggiunga, anziché togliere.
L’amore inizia da sé stessi, dall’amarsi, ma soprattutto dal conoscersi.La prima forma d’amore che conosciamo è l’amore simbiotico, regolato dal reciproco bisogno, di attaccamento e di accudimento. Parallelamente allo sviluppo fisico, emotivo e cognitivo, crescendo conosciamo diverse forme di amore fino a desiderare l’amore adulto che secondo J. Bowlby, teorico dell’attaccamento, coinciderebbe con l’omeostasi rappresentativa ovvero con la tendenza a scegliere il partner in base alla sua capacità di confermare le rappresentazioni mentali di sé, degli altri e del mondo acquisite nell’interazione con le figure significative sin dai primi anni di vita. Come è noto, ciò che è familiare è rassicurante, ma dalla rassicurazione che arriva dall’esterno si rischia di dipendere, allontanandosi dalla possibilità di percepirsi liberi. Ignorare questa tendenza e andare invece verso ciò che non conosciamo è sicuramente un atto di coraggio, che ci mette davanti la possibilità di un cambiamento, di sperimentare qualcosa di nuovo, con tutte le paure che ogni cambiamento comporta, ma il nuovo, a volte, è proprio quello di cui abbiamo bisogno per stare bene.
L’amore adulto, libero e sano è fondato sulla scelta e sul desiderio più che sul bisogno. Ho bisogno del tuo amore perché da solo/a non ce la faccio è un sentire che ci costringe a vivere tra la paura che l’altro se ne vada e gli sforzi per fare in modo che questo non accada, ma possiamo davvero evitare che l’altro se ne vada o si renda indisponibile per qualsivoglia motivo? A quale costo, per noi e per l’altro? Una relazione impostata in questo modo è una relazione asimmetrica, tra un individuo adulto, autonomo, realizzato e un altro che vive in funzione del primo, spesso idealizzato e quindi poco conosciuto nella sua reale essenza e accettato nella sua imperfezione.
Lo psicologo e psicoanalista Erich Fromm, autore del libro L’arte di Amare (1963) scrisse che gli elementi comuni a tutte le forme d’amore sono: la premura, la responsabilità (ma non il dovere), il rispetto e la conoscenza. La sua tesi di partenza è che “La maggior parte della gente ritiene che amore significhi «essere amati» anziché amare; di conseguenza, per loro il problema è come farsi amare, come rendersi amabili, e per raggiungere questo scopo seguono parecchie strade.”Cresciuti col mito dell’anima gemella o dell’altra metà della mela, eredità platonica come l’amore solo immaginato e desiderato, ma mai reale, riteniamo che per ricostruire l’intero, la simbiosi come prima forma d’amore che conosciamo, non possiamo fare altro che cercare qualcuno disposto a completarci o a ricostruirci, ignorando il vantaggio di considerare l’amore un valore aggiunto alla nostra vita, la possibilità di condividere e costruire insieme più che di ricostruire sé stessi.
L’amore aggiunge e talvolta ripara, ma non è il pezzo che sostituisce quello che dentro di noi ha smesso di funzionare.
Non posso richiudere una mela se non con il pezzo che da quella mela s’è staccato.
Camus ha scritto: “avendo bisogno di amare e di essere amato, credetti di essere innamorato”.
Tempo fa ho risposto online alla mia amica Sara Pilastro con la citazione di Bukowski che dice: “come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri”.
Premesso che Bukowski non dovrebbe essere preso come esempio per praticamente nulla, soprattutto se hai più di quindici anni, ma un po’ per provocazione e un po’ per confusione le ho scritto quella roba lì e so che, se avesse potuto, mi avrebbe sputato in faccia. Non potendolo fare, mi ha detto che questa concezione di amore le appariva un po’ tossica, perché l’amore consiste in una scelta costante.
Ho chiesto anche a lei un pezzo per questo numero perché, secondo me, ha un modo unico di scrivere l’amore e, in generale, un modo unico di scrivere versi. Non ce la si è fatta, quindi ho scelto di condividere una sua poesia.
Lieve
Sarà presto primavera:
non compiere atti radicali
e scendi un gradino alla volta;
appoggiati, se serve, al corrimano.
Ti alzerai un giorno,
il sole ti scalderà tiepido la pelle,
i primi fiori bucheranno
la terra arsa dal gelo.
Riparati dalle intemperie,
apri le finestre ogni mattina, ricorda
che si ama
solo
di un amore
lieve.
Sabato scorso ho visto, nel giro di cinque ore, Perfect Days e Past Lives, sono uscito dal cinema con le sembianze di una patata bollita, ma ne è valsa la pena. La trama del primo, all’apparenza banale, ci ricorda il valore delle piccole cose, anche se ci ho visto un grande non detto che va al di là di questo, ma vabè… vedetelo che è bello.
Past Lives, invece, mostra il legame indissolubile tra Nora e Hae Sung che, nonostante la distanza, non hanno mai smesso di amarsi.
A celarsi nel film vi è il significato dell'In Yun. Tradotto dal coreano con la parola "destino", l'In Yun è il concetto che lega tutti gli esseri viventi sulla terra, il quale destino è legato da un filo rosso in grado di connetterli.
Si parla di In Yun anche quando i vestiti di due sconosciuti, camminando, si sfiorano, dimostrando come nel passato i loro destini si siano incrociati.
Sono molte le leggende intorno al concetto di “anima gemella”, a partire dal mito delle metà di Platone, ma esiste veramente? Gli studiosi ritengono che gli uomini avrebbero sviluppato dei circuiti neurali che permettono di distinguere tra la folla una persona speciale. Ma questo processo non capita solo una volta.
C’è anche molta retorica intorno al concetto dell’anima gemella che risolverà tutti i nostri conflitti interiori e ci completerà, ma, come spiega bell hooks, “l’amore non porta alla fine delle difficoltà, ma ci fornisce i mezzi per affrontare le difficoltà in modo da migliorare la nostra crescita”. La narrazione dell’anima gemella è spesso frustrante perché potrebbe creare delle aspettative irrealistiche nei confronti delle persone che ci circondano e verso la nostra capacità di amare.
Esistono certamente quelle che Goethe definiva “affinità elettive” ed esistono particolari combinazioni chimiche che si scatenano in precise circostanze, ma c’è molto di più ed è, in teoria, tutto replicabile, sia da un punto di vista dell’innamoramento, sia dal punto di vista probabilistico.
Questo è utile saperlo non tanto quando le cose vanno bene, ma quando non vanno nella direzione sperata. Perché gli ormoni passano, ma l’intelligenza (se c’è) resta.
Capita, infatti, che non tutto vada secondo i piani e, in quel caso, avere in testa l’idea di aver “perso” l’anima gemella potrebbe sviarci dal cercare altre persone con cui stare bene, dimenticandoci che una relazione è questione di impegno, ché fan presto, amore, ad appassire le rose.
Quando vivevo a Bologna, ogni mattina raggiungevo la fermata del bus per andare a lavoro e, quasi ogni mattina, a un certo punto della strada, incontravo davanti a me una coppia di anziani che camminava lenta tenendosi per mano. Nonostante la semplicità dell'immagine, mi colpì subito e divenne una specie di obiettivo riuscire a incontrarli ogni mattina, un piccolo segnale positivo per una giornata sicuramente del cazzo. Ogni tanto li ho fotografati, velocemente e di nascosto come se fosse una cosa segreta o proibita, poi li superavo, senza mai girarmi a vedere il loro viso, e pensavo ai loro pensieri, alla loro destinazione. Una mattina c'era solo lui, e tremava tutto, cosa che camminando in compagnia della moglie non faceva. Questo mi ha portato a scrivere: "l'ultima volta ti ho visto tremare perché lei non ti stringeva più la mano". Sono molto contento di aver pensato questa frase e sono molto contento di averli rivisti, il giorno dopo, di nuovo insieme, sicuri di appartenersi.
Qui sotto, invece, c’è un aneddoto che è un po’ la versione giovane e realizzata con Midjourney.
Siamo nel 2024 e, secondo una ricerca di Bumble, la tendenza negli appuntamenti è posta sulla cura di sé e sulla salute mentale, con un focus particolare sul concetto di “appuntamenti ponderati”. Si privilegia, cioè, la qualità delle connessioni rispetto alla loro quantità. Ma da dove provengono gli appuntamenti? Com’è prevedibile, secondo gli studi, ci si incontra sempre meno a scuola, sul lavoro o tramite gli amici (cioè quei luoghi che fino a qualche anno fa dominavano la classifica). Oggi ci si incontra sempre più online e, in particolare, grazie alle app di dating. C’è chi storcerà il naso per questa cosa, ma credo che, se ci si ricorda che dall’altra parte c’è una persona e non solo uno schermo, ognunə possa conoscere persone nel modo che preferisce. Per esempio a me piace conoscerle alla vecchia maniera, cioè mai. Scherzo.
Comunque, le care vecchie relazioni che nascono in contesti più sociali, come le università, gli uffici, i corsi di apicoltura, le logge massoniche, i matrimoni combinati, saranno anche più affascinanti e interessanti da raccontare ai nipoti, ma di semplice non c’è niente. Perché, se con una persona c’è coinvolgimento emotivo, è utile fermarsi a valutare se i sentimenti sono reali o se sono influenzati dalla vicinanza “forzata”. Corrisponde davvero a ciò che cerchiamo?
Amore o attaccamento, questo è il dilemma. Due parole che hanno qualcosa in comune, ma anche molte differenze. Amore e attaccamento non sono due universi paralleli, anzi il secondo rappresenta il preludio di qualsiasi relazione. Si parla di attaccamento ogni volta che incontri qualcunə con cui senti il desiderio di voler stringere un legame, qualcunə che sai di volere al tuo fianco, che suscita in te emozione e passione. Da questo, poi, nel tempo si costruisce l’amore come una sorta di upgrade. A quel punto nasce l’intimità, volere il suo bene, crescere insieme, etc.
L’attaccamento ha due aspetti diversi: interiormente si attacca a una nozione di sé che vuole essere compiaciuto, riconosciuto, amato, rispettato, protetto e importante. Esteriormente si attacca a un’altra persona. Quando il nostro sé si sente limitato e mancante, trova conforto nell’altro e allora cominciano i guai.
Quando una relazione si basa sull’attaccamento, non vediamo la persona che abbiamo davanti (o quella che ci ha lasciato), ma un’immagine che è frutto della nostra immaginazione. Così tenderemo a idealizzarla, o a demonizzarla. La persona darà un sollievo temporaneo alle brame che ci assediano dall’infanzia senza tuttavia riuscire a placare la sofferenza che abbiamo dentro perché in realtà non potrà mai essere risolta rivolgendo l’attenzione all’esterno. L’attaccamento avviene sempre nel presente, ma è il risultato di tutti i piaceri e i dispiaceri che abbiamo patito nelle nostre vite. Per saperne di più vi rimando a questo articolo.
L’attaccamento, poi, è così reale che, nei videogiochi, tutte le interazioni intime tra personaggi sono molto complicate da ricreare e richiedono talmente tanto tempo per essere realizzate che il più delle volte vengono ignorate, oppure inserite tramite alcuni stratagemmi, come allontanare l’inquadratura o lavorando sulla profondità di campo.
L'amore si cerca o si teme? È fatto solo di poche ore e di aspettative troppo grandi che lasceranno l'amaro in bocca? Qualsiasi cosa sia, è meglio non viverlo nell'ipocrisia dei sentimenti: esso non è, certamente, qualcosa che deve stare stretto. È meglio aprire gli occhi, per quanto difficile e doloroso sia, per non farsi del male.
Ai tempi del mio primo libro, spesso durante le presentazioni mi veniva fatta la domanda: cos’è per te l’amore?
La prima volta ho risposto “se lo sapessi non avrei scritto questo libro”.
La seconda volta ho risposto “ma io che cazzo ne so scusi?”
La terza volta ho risposto “un posto che sai che c’è ed è lì che ti aspetta”.
Non rinnego queste risposte, anche se la terza, in apparenza la più strappa-like, può essere fraintesa se presa alla lettera. L’aspettare non vuole intendere che una persona deve fare Penelope mentre l’altra va in giro per le isole del Mediterraneo.
Intende una sorta di grande “scrivimi quando arrivi”, una forma di cura costante, basata sulla fiducia e sulla consapevolezza, anche se distanti, senza però mettersi in stand-by. Una città che, se ci torni, ti accoglie, anche se nel frattempo è cambiata, ha qualche rotonda in più, quale libreria in meno, e anche tu hai qualche pantalone in più, qualche tessera Arci in meno.
Una frase di Calvino, una canzone di Tenco, questo pezzo di Raffaello Baldini.
Eravamo amici, insomma quasi amici, avevamo studiato insieme a Rimini, lei faceva le magistrali, non proprio insieme, io facevo l’Istituto e poi a Bologna all’università, su e giù in treno, c’incontravamo spesso, chiacchieravamo, ci prestavamo i libri, m’ha prestato un giallo che aveva un titolo strano, Con te, ma bello, il più bel giallo che ho letto, poi parlavamo di film, a lei era piaciuto Kramer contro Kramer, anche a me, ma a me era piaciuto molto Il grande freddo, «Vallo a vedere», e dopo mi ha detto «Bello, avevi ragione», «E beh, gli americani sono bravi, hai visto Blade Runner? quello davvero è un capolavoro», ecco, dei discorsi così, e quella sera tornavamo da Bologna, eravamo partiti alle otto, era già notte, avevamo trovato uno scompartimento vuoto, proprio al centro, «Domenica a Ravenna c’è Vasco Rossi, lo conosci? uno un po’ matto», «Lo vai a sentire?» «E tu?» e in quel momento, tac, è mancata la luce, non si vedeva più niente, le ho chiesto «Hai paura?», e lei: «E tu?» abbiamo riso piano, siamo stati zitti un po’, poi non so neanch’io com’è successo, è stato anche il suo profumo, sottile, ma mi entrava dentro, l’ho cercata con una mano, un braccio, la spalla, piano, senza stringere, i capelli, quanti capelli, poi intorno al collo, poi l’ho baciata, e lei m’ha baciato anche lei, e stavamo lì, non sapevamo cosa dire, poi le ho baciato gli occhi, teneri, quasi dolci, sempre senza dir niente, poi un altro bacio, lungo, stavamo zitti, secondo me, anche dalla meraviglia, non ce l’aspettavamo d’innamorarci di colpo quel mercoledì sera, al buio, in treno, un po’ prima di Forlimpopoli.
Disclaimer: questo numero, per convenzione, parla di relazioni a due, ma è valido anche per altri tipo di contesto. Parla, inoltre, di relazioni che prevedono un, più o meno forte, coinvolgimento emotivo, delle cosiddette “relazioni serie” o potenzialmente tali. Per tutto il resto, basta il consenso (?) Torna utile leggere un vecchio commento a un articolo del The Guardian, scritto sempre da Sara: Non chiamiamo bad sex ciò che è abuso.
Per questo ventiduesimo numero di Capibara è tutto. Se si parla, o si canta, d’amore, non si può non tirare in ballo Giovanni Truppi e quella che credo sia una delle più belle canzoni d’amore di sempre: Conoscersi in una situazione di difficoltà. Vi lascio qui la versione con La Rappresentante Di Lista, per me ancora meglio dell’originale.
Tieniti forte tieniti bene.
In quel bar ci vado ancora ogni tanto: il caffè lo fanno ancora bruciato, hanno rimesso per un po' la birra che prendevi, mettono sempre musica figa. Dovevamo rivedere insieme Twin Peaks, tornare in quel sushi con i dipinti alle pareti, parlare di quel bambino che si mangia la colla, andare ad altri concerti solo per sentire le prime due canzoni, vederti giocare con i capelli il più a lungo possibile prima di andare in ufficio, ricordarti che sei più forte di me, anche se non ci credi.