Benvenute e benvenuti a un nuovo numero di Capibara, una newsletter che fa ridere ma anche pensare. Siamo in quella settimana dell’anno e, in quanto memer, sociologo, markettaro e frequentatore occasionale del settore musica, non potevo esimermi dal farmi risucchiare da quel buco nero chiamato Sanremo.
Quindi ecco un numero speciale e totalmente improvvisato, magari da leggere tra una pubblicità della Conad, un insulto a Fiorello e una dose di Red Bull.
Spiegare a una persona che non conosce la cultura italiana che cosa sia il Festival di Sanremo è complicatissimo. Di solito, si tende a spiegare l’identità del Festival di Sanremo con una negazione, infatti la prima cosa che spesso viene da dire è ‘non è un semplice festival della canzone italiana, è molto di più’. Quando però ci ritroviamo a spiegare che cosa ci sia in questo ‘molto di più’ ci troviamo in difficoltà e finiamo per dire una frase tautologica, cioè ripetiamo dopo il verbo quando già espresso dal soggetto, ovvero: ‘eh, Sanremo è Sanremo!’.
In realtà non l’ho mai detto. Di solito per spiegare Sanremo racconto qualche episodio trash tipo i Placebo che spaccano gli strumenti o lo storico “questo Festival è truccato e lo vince Fausto Leali!”
Comunque, i dati dell’audience sono ormai da qualche anno altissimi. Ma il successo ritrovato del Festival è confermato da molti altri fattori, come la rotazione costante delle canzoni in gara sulle radio nazionali, i numeri enormi di ascoltatori sulle piattaforme di musica in streaming che rendono la playlist delle canzoni in gara fra le più ascoltate al mondo, i giornali pieni di curiosità, retroscena e biografie degli artisti che più si sono fatti notare.
Il Festival è tornato ad avere quel prestigio, quella centralità che negli ultimi anni si era appannata e gli addetti ai lavori sostengono che sia in corso una nuova “epoca d’oro”, arrivata nel suo pieno dopo un percorso di rinascita cominciato una decina di anni fa.
All’inizio degli anni Dieci, infatti, il Festival era da tempo in crisi di ascolti e di identità. I conduttori e il format cambiavano ogni anno, ma il risultato rimaneva lo stesso: uno spettacolo scadente e poco premiato dagli ascolti. «Fra gli artisti la convinzione era che a Sanremo ci andavi per salvare la carriera», racconta Emiliano Colasanti, fondatore della casa discografica 42Records, quella di Colapesce e Dimartino, Cosmo e tanti altri.
Ora invece gli artisti sgomitano per partecipare, anche quelli che provengono da contesti diversi dal pop più radiofonico. Ogni anno le case discografiche sottopongono al Festival centinaia di canzoni, consapevoli che accedere al concorso potrebbe lanciare carriere di successo – come per Mahmood – e in un modo spesso slegato dal piazzamento finale.
Gli addetti ai lavori raccontano che la ricostruzione del Festival è partita da lontano, ed è riconducibile solo in parte ad Amadeus.
La proprietà intellettuale del Festival appartiene al Comune di Sanremo, che dagli anni Settanta fino al 1994 l’aveva appaltato a consorzi di impresari vicini alle esigenze delle case discografiche. Il metro di giudizio era la quantità di dischi venduti dagli artisti in gara. La RAI era soltanto un contenitore. Fu soltanto nel 1994 che la tv pubblica decise di gestire direttamente il Festival tramite una convenzione con il Comune. Lo fece nel peggiore momento possibile.
Alla fine degli anni Novanta arrivarono Internet e Napster, e il modello di business dell’industria musicale basata sulla vendita del prodotto fisico andò in crisi e le case discografiche e gli artisti diventarono sempre meno interessati al Festival.
La RAI decise allora che la gara di canzoni doveva passare in secondo piano: l’obiettivo diventò quello di costruire un varietà televisivo.
Fra il 2004 e il 2010 si alternarono alla conduzione presentatori televisivi molto noti e il concorso fu vinto spesso da artisti che avevano appena partecipato ad Amici di Maria De Filippi come Marco Carta e Valerio Scanu o da meteore come Povia. Cosa memiamo a fare.
L’edizione del 2008 fu la meno vista della storia: fece in media il 36,56 per cento di share. “Colpo di fulmine”, la canzone di Ponce e Di Tonno, rimase in classifica per sole tre settimane. Nel 2010 arrivò invece seconda “Italia amore mio” di Pupo, Emanuele Filiberto di Savoia e del tenore Luca Canonici. Cosa memiamo a fare 2.
«Dalla direzione di Conti in poi si è cominciato a usare il criterio della radiofonicità per selezionare le canzoni, che sconvolse il criterio della tipica canzone sanremese, cioè la ballata d’amore» che negli anni precedenti aveva prevalso, spiega Colasanti. Se è vero che il Festival del 2015 fu vinto dal Volo, forse il gruppo più conservatore nella storia recente italiana e ispirato a una tradizione, quella della musica lirica, per nulla contemporanea, arrivarono terza e quarta due cantanti credibilmente pop come Malika Ayane e Annalisa. Nel 2016 nella sezione Giovani Proposte c’erano Mahmood, Francesco Gabbani, Ermal Meta e Irama: i primi tre avrebbero vinto il festival nei tre anni successivi.
Con Baglioni la qualità delle canzoni in gara aumentò ulteriormente, vennero tolte le eliminazioni e il limite massimo delle canzoni venne alzato a quattro minuti, permettendo agli artisti in gara di presentare pezzi più strutturati.
Gli addetti ai lavori capirono che le cose erano cambiate con la vittoria di “Soldi” di Mahmood, nel 2019: «una proposta di musica urban che dominava le classifiche ma che fino ad allora non era presente nel contesto di Sanremo», spiega Colasanti.
La vittoria di Mahmood attivò un circolo virtuoso che dura ancora oggi. I giovani si accorsero per la prima volta che il Festival offriva anche musica in grado di soddisfare i loro gusti. Le industrie discografiche annusarono l’opportunità di allargare il pubblico di cantanti che magari andavano occasionalmente bene nelle classifiche, ma che non avevano ancora una vera base di fan.
Nel frattempo si era definitivamente affermato lo streaming come modello principale di fruizione della musica, cosa che tra le molte conseguenze consentì alle case discografiche di pianificare meglio le carriere dei propri artisti. Da qualche anno nessuno arriva a Sanremo per caso: il Festival è diventato la stessa cosa delle Olimpiadi per uno sportivo, cioè un appuntamento a cui presentarsi nelle migliori condizioni possibili e da preparare con estrema cura nei mesi che lo precedono.
Sia “Soldi” sia “Zitti e buoni”, la canzone con cui i Måneskin hanno vinto l’edizione del 2021, sono entrate nelle classifiche di mezzo mondo.
In molti si domandano se la rinascita del Festival di Sanremo possa continuare anche senza Amadeus. Colasanti spiega che sarebbe difficile tornare indietro e prendere un’altra strada, ora che quella seguita da Amadeus si è rivelata così di successo.
Come ogni evento televisivo e culturale anche la vita del Festival di Sanremo si sviluppa per cicli, ed è nell’ordine delle cose che possa tornare in crisi. Ci sono due ulteriori motivi, però, che rendono piuttosto certi gli addetti ai lavori che il buon momento del Festival durerà almeno qualche altro anno.
Il primo è che da un paio di edizioni a questa parte il Festival sembra si sia saldato perfettamente con le abitudini digitali non solo dei più giovani: il Festival lo si guarda sul divano ma nello stesso tempo lo si commenta su WhatsApp, su Twitter o su Instagram. Inoltre, il Fantasanremo è ormai citato da quasi tutti i cantanti in gara, a ulteriore conferma di come la rilevanza online sia diventata importante.
C’è un altro elemento, più sottile. Luca Barra ha cercato di spiegarlo nel suo La programmazione televisiva. Palinsesto e on demand (Laterza, 2022): «Per un po’ ci siamo convinti, e siamo stati convinti dalle dinamiche della bolla, che vogliamo vedere le cose dove ci pare e quando ci pare, che cerchiamo la libertà totale delle nostre fruizioni mediali. In realtà questo risponde solo in parte ai nostri bisogni. Ho il sospetto che Sanremo stia andando così bene perché è una specie di antidoto alla frammentazione. Più siamo abituati e consapevoli della frammentazione delle nostre vite, più abbiamo bisogno di raccoglierci almeno qualche volta all’anno attorno a eventi collettivi e condivisi, di sincronizzare le nostre visioni e i nostri discorsi a una temporalità trasversale e generalista».
Ma ora veniamo alle pagelle di questa edizione, il format più atteso dalla salma di Mike Bongiorno:
Clara, Diamanti grezzi: brava ma la preferisco come attrice.
Sangiovanni, Finiscimi: bravo ma lo preferisco come cantante.
Fiorella Mannoia, Mariposa: non portate mai vostro figlio a un suo concerto.
La Sad, Autodistruttivo: mi aspettavo i Prodigy, ho avuto i Finley.
Irama, Tu no: come mai canta coi coglioni in bocca?
Ghali, Casa mia: testo impegnato che balleremo nei cessi di una discoteca.
Negramaro, Ricominciamo tutto: i salentini hanno devastato questo Paese.
Annalisa, Sinceramente: sicuro fa scrivere le canzoni a ChatGPT.
Mahmood, Tuta gold: prossimo passo per essere Michael Jackson, Neverland.
Diodato, Ti muovi: da quando ha vinto l’edizione col Covid non si è più ripreso.
Loredana Bertè, Pazza: musa, muso, Muse. Anni fa avrebbe spaccato, oggi vince.
Geolier, I p’ me, tu p’ te: mamma mi compri Liberato? Ma ce l’abbiamo già a casa!
Alessandra Amoroso, Fino a qui: il tizio per farsi coraggio si ripete “Fino a qui…”
The Kolors, Un ragazzo una ragazza: non era Ibiza e questa non è una canzone.
Angelina Mango, La noia: mi fa venire voglia di indossare tute acetate.
Il Volo, Capolavoro: non potevano continuare a tirar merda sui muri degli Hotel?
BigMama, La rabbia non ti basta: un po’ digievoluzione di Elodie, mi è piaciuta.
Ricchi e Poveri, Ma non tutta la vita: non la cantassero loro, sarebbe una Hit.
Emma, Apnea: mi spiace Emma, ma preferisco le apnee notturne a questo.
Nek e Renga, Pazzo di te: uomini sposati che manipolano ventenni del DAMS.
Mr Rain, Due altalene: per sapere dove sono finiti i bambini ascoltate Veleno.
Bnkr44, Governo punk: non fumo, ma quando ci son loro esco a fumare.
Gazzelle, Tutto qui: la quota MI AMI di questa edizione. Anche la quota clamidia.
Dargen D’Amico, Onda alta: “Cessate il fuoco. Il silenzio è corresponsabilità” <3
Rose Villain, Click boom!: la Tatangelo se non avesse conosciuto Gigi. Brava.
Santi Francesi, L’amore in bocca: sto solo ascoltando questo pezzo in loop da ore.
Fred De Palma, Il cielo non ci vuole: ma l'Unione Europea non l’aveva vietato?
Maninni, Spettacolare: ma chi cazzo è porco…
Alfa, Vai!: ma chi cazzo è porcod…
Il Tre, Fragili: ma chi cazzo è porcodi…
Per questo numero speciale di Capibara è tutto. Sabato ci sarà il numero abituale? Sarò sincero, forse no. Ho in ballo dei numeri pesi, ma potrebbe volerci ancora un po’. Per ora felice Sanremo e possa Pippo Baudo essere sempre a vostro favore!