Ciao Gabriele, la salute mentale e la sua "incompatibilità" con un modello di società capitalista è un tema che mi sta molto a cuore. Mi è sorta una domanda a cui forse tu puoi darmi risposta: assodato che tra povertà e salute mentale c'è un evidente duplice nesso causale, in un modello comunista, dove non esiste disparità economica, come veniva gestita l'insanità mentale? Era riconosciuta come un impedimento al lavoro?
Mi rendo conto che è un discorso complicato, perché comunismo e sensibilizzazione alla salute mentale nel novecento sono successi in momenti separati, ma magari tu hai più strumenti di me :)
Allora, premetto che nei sistemi cosiddetti comunisti avuti nella storia non vi era assenza di disparità, in quanto esistevano comunque gerarchie e privilegi.
In questi regimi la salute mentale era spesso vista in funzione della produttività. Chi non era in grado di lavorare poteva ricevere assistenza dallo Stato, ma spesso in condizioni precarie e con un forte stigma.
Sarebbe interessante riflettere su come un modello alternativo al capitalismo potrebbe gestire OGGI questi temi con più consapevolezza (e soprattutto in un sistema davvero egualitario, quindi senza derive totalitarie o influenze da parte di logiche di mercato).
Infatti mi chiedevo se fosse stato affrontato nel modello teorico comunista, più che in sistemi storici avvenuti nella storia. Immagino che oggi un'alternativa sarebbe, banalmente, un modello di welfare state i cui servizi non derivino dalla professione esercitata o dallo status posseduto (come la cittadinanza). Grazie dello spunto!
Ogni volta mi ricordo di Laing e di come diceva che rinchiudiamo in psichiatria chi dice di avere la bomba dentro di sé mentre lasciamo a piede libero presidenti che dicono di poter premere da un momento all'altro il bottone dell'atomica (o compiere genocidi). Chi è più pericoloso?
Buongiorno Gabriele, sono approdata da poco su questa piattaforma e nel Capibara. Questo articolo mi ha molto coinvolto, nel 2023 ho scritto un libro per ragazzi ispirato alla vicenda Perucatti (nel Panopticon di Santo Stefano appunto), e questo mi da modo di parlare di questi argomenti con tantissimi ragazzi delle scuole medie che incontro. Spero, per quel minimo che posso, di dargli qualche spunto per vedere le cose in modo critico. Ce n’è un gran bisogno. Grazie
Ciao Gabriele, la salute mentale e la sua "incompatibilità" con un modello di società capitalista è un tema che mi sta molto a cuore. Mi è sorta una domanda a cui forse tu puoi darmi risposta: assodato che tra povertà e salute mentale c'è un evidente duplice nesso causale, in un modello comunista, dove non esiste disparità economica, come veniva gestita l'insanità mentale? Era riconosciuta come un impedimento al lavoro?
Mi rendo conto che è un discorso complicato, perché comunismo e sensibilizzazione alla salute mentale nel novecento sono successi in momenti separati, ma magari tu hai più strumenti di me :)
Ciao Martina, grazie per il commento.
Allora, premetto che nei sistemi cosiddetti comunisti avuti nella storia non vi era assenza di disparità, in quanto esistevano comunque gerarchie e privilegi.
In questi regimi la salute mentale era spesso vista in funzione della produttività. Chi non era in grado di lavorare poteva ricevere assistenza dallo Stato, ma spesso in condizioni precarie e con un forte stigma.
Sarebbe interessante riflettere su come un modello alternativo al capitalismo potrebbe gestire OGGI questi temi con più consapevolezza (e soprattutto in un sistema davvero egualitario, quindi senza derive totalitarie o influenze da parte di logiche di mercato).
Infatti mi chiedevo se fosse stato affrontato nel modello teorico comunista, più che in sistemi storici avvenuti nella storia. Immagino che oggi un'alternativa sarebbe, banalmente, un modello di welfare state i cui servizi non derivino dalla professione esercitata o dallo status posseduto (come la cittadinanza). Grazie dello spunto!
Ogni volta mi ricordo di Laing e di come diceva che rinchiudiamo in psichiatria chi dice di avere la bomba dentro di sé mentre lasciamo a piede libero presidenti che dicono di poter premere da un momento all'altro il bottone dell'atomica (o compiere genocidi). Chi è più pericoloso?
Ciao Valeria, mi sento di poter rispondere con una battuta: è considerato pericoloso quello che non indossa la cravatta.
Buongiorno Gabriele, sono approdata da poco su questa piattaforma e nel Capibara. Questo articolo mi ha molto coinvolto, nel 2023 ho scritto un libro per ragazzi ispirato alla vicenda Perucatti (nel Panopticon di Santo Stefano appunto), e questo mi da modo di parlare di questi argomenti con tantissimi ragazzi delle scuole medie che incontro. Spero, per quel minimo che posso, di dargli qualche spunto per vedere le cose in modo critico. Ce n’è un gran bisogno. Grazie
Ciao Milvia, bello sapere che affronti questi temi con i ragazzi, è un contributo importante. Grazie per averlo raccontato!